Le Fate e i loro cavalieri, prologo
Più di dieci minuti di applausi per la lussuosa nuova produzione de “La Bella addormentata nel bosco” che ieri sera ha riportato al Teatro alla Scala il capolavoro di Marius Petipa e Pëtr Il’ič Čaikovskij nella messa in scena e integrazioni coreografiche di Alexei Ratmansky. Una “Bella” speciale, già applaudita a New York con l’American Ballet Theatre, coproduttore con il Teatro alla Scala dello spettacolo, già vincitrice del Premio FEDORA – Van Cleef & Arpels Prize for Ballet, un allestimento scintillante in cui riscoprire il fasto e i segreti originari di un titolo immortale.
Massimo Murru magnetico nel ruolo della fata cattiva Carabosse
Ratmansky ha lavorato sui quaderni della notazione Stepanov custoditi ad Harvard, nei quali il maïtre dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo, Nikolaj Sergeev, fuggito dalla Russia sovietica nel 1918, aveva salvato i più grandi balletti della tradizione di Marius Petipa. Già nel 1999, quando l’attuale direttore del Corpo di Ballo della Scala, Makhar Vaziev, era alla testa del Balletto del Mariinskij, la vecchia “Bella” del 1890 era rinata grazie alla scoperta dei quaderni di Harvard: ma la “Bella” di Ratmansky non è una fotocopia di quella del 1999. Ratmansky, dal 2009 artista residente alll’ABT di New York, è andato avanti nelle ricerche e per la sua “Bella addormentata nel bosco” ha ridato luce non solo a ciò che dicono i quaderni di Sergeev, ma a uno spettacolo che ha fatto tesoro di uno degli allestimenti più faraonici della “Bella” del Novecento: quello nato nel seno dei Ballets Russes di Diaghilev a Londra, nel 1921, coreografia ripresa da Petipa, curata dallo stesso Nikolaj Sergeev, scenografie e costumi di Léon Bakst.
Jacopo Tissi (Principe) e Nicoletta Manni (Fata dei Lillà) in viaggio verso la Bella
La coreografia è tutta da gustare, con equilibri in punta, gambe mai troppo estese verso l’alto, passi piccoli che sembrano un ricamo, delicati e sinuosi port de bras. Molte le scoperte per chi ama ragionare sulle origini dei balletti: un esempio? La variazione dell’ultimo atto per il Principe, scelta da Ratmansky e notata da Sergeev, nacque successivamente al debutto del 1890, forse, ipotizza il coreografo nella bella intervista curata dal critico Sergio Trombetta nel programma di sala, potrebbe essere stata creata da Legat, Fokin, Cecchetti…
Ma veniamo agli interpreti del debutto (cast principale in replica il 2 e il 6). La Fata dei Lillà è Nicoletta Manni, in punta nel prologo, in scarpe con il tacco negli altri atti come vuole la notazione. Eleganza regale e serafica, ideale per il ruolo: Manni danzerà anche Aurora, giovedì 1 e il 22, pensiamo sia da non perdere. La fata cattiva Carabosse è uno strepitoso Massimo Murru, étoile scaligera che si vede di raro ormai al Piermarini (ma con Sylvie Guillem è stato interprete in questi ultimi anni di performance di grande spessore, danzando titoli di Forsythe, Mats Ek e altri). È un ruolo pantomimico, quello di Carabosse, fiabesco e tremendo. Murru gli dà vigore e cattiveria da danzatore di grande capacità attoriale qual è da sempre.
Svetlana Zakharova (Aurora) nel costume dell’Adagio della rosa
Aurora è un bocciolo di delicatezza coreografica e Svetlana Zakharova le dà smalto con una sottigliezza in filigrana nell’Adagio della rosa e nelle due variazioni del I atto, come nell’atto II della visione e nell’estatico passo a due del III atto.
Zakharova con Jacopo Tissi nel III atto
Zakharova avrebbe dovuto danzare al debutto con Sergej Polunin, infortunatosi. La prima ha visto in scena così una giovanissima new entry scaligera: Jacopo Tissi, diplomato alla Scuola della Scala nel 2014, un anno passato nel Wiener Staatsballet, da luglio 2015 nel Corpo di Ballo del Piermarini. Un debutto emozionante per il ventenne Tissi, viso d’angelo e tecnica adamantina, che ha danzato il Principe con fiabesco candore.
Tra i tanti da citare: Angelo Greco e Vittoria Valerio, rapinosi nell’Uccellino Azzurro e la Principessa Fiorina, Virna Toppi, Alessandra Vassallo, Marta Gerani e Chiara Fiandra, pietre preziose del III atto, scintillanti nel ritmo acceso delle loro variazioni. Coinvolti molti piccoli ballerini dalla Scuola di Ballo, deliziosi paggetti e musicanti.
L’Orchestra è stata diretta dalla bacchetta di Vladimir Fedoseyev, un Čaikovskij di grande ricchezza melodica e timbrica, sposato alla danza con maestria. Sui disegni di Léon Bakst, Richard Hudson ha creato scene con colonne tortili e boschi in lontananza, costumi ricchi di colore e di ricami, con il giallo zafferano unito al verde acqua, abiti e tutù bianchi, rosa, argento, blu, mirabolanti parrucche. Il balletto è in scena fino al 23 ottobre. Cast completi sul sito del Teatro alla Scala.
Il valzer con le ghirlande del primo atto.
Foto di Brescia Amisano @Teatro alla Scala
è già detto tutto nella bella recensione di Francesca e nel commento di Ugo. una piccola riflessione che mi suggeriscono i commenti allo spettacolo sui social. che senso ha questa operazione? soprattutto per danzatori dalla muscolatura e altezza diversa rispetto ai danzatori del 1890? ha lo stesso senso, a parere mio, della scoperta dello splendore della musica barocca o antica affrontata con diversi criteri esecutivi o addirittura con strumenti d’epoca. Zacharova e Tissi erano splendidi Aurora e Désiré. è tuttavia vero che danzatori più piccoli affrontano meglio queste difficoltà tecniche, in particolare la variazione maschile del passo a due. per preparare il programma di sala ho avuto modo di vedere in video la versione dell’American Ballet Theatre. e Marcelo Gomes , più piccolo, era naturalmente molto più agile nei brisé vole e altre piccole batterie. Lunga vita alla Bella!
Carissimo Sergio, stamattina parlavo della “Bella” con un’amica e come te ho citato a riprova dell’interesse dell’operazione “Bella”, le molte e possibili esecuzioni della musica barocca che ci fanno percepire una accanto all’altra miriadi di sfumature. La danza poi ha come strumento il corpo e il suo essere geneticamente effimera le dà un’infinita possibilità di variazioni su tema. I fisici dei nostri danzatori sono molto diversi da quelli ottocenteschi e di primo Novecento e questa “Bella” ha il pregio di farci scoprire come lo stile di un tempo lontano si incontri con le stelle e i ballerini di oggi, anche essi, come tu ben sottolinei, non tutti uguali per fisico e temperamento e quindi ognuno con la sua lettura dello stile. Arte in metamorfosi perenne, la danza si trasforma anche entrando negli stessi passi, nelle stesse coreografie. Mi associo perciò al tuo «Lunga vita alla Bella!».
Una Bella che travolge coi colori, le emozioni, gli interpreti perfetti, il diamante di una tecnica accademica abbagliante. Rivive il sogno del balletto di corte del Grand Siècle nell’apparato fastoso di scene e costumi e nell’ideale, finissima stilizzazione del movimento coreografico, rivive Luigi XIV e il suo alter ego danzante Febo Apollo nel blu da favola di re Floristano, rivive il sogno perfetto del grande balletto imperiale di San Pietroburgo. Nella sala del Piermarini, come è giusto che sia. Quando la grande danza rende abbagliante la leggenda di un grande Teatro.
Magnifico commento che dà in poche righe la prova di quanto la danza sia parte della storia dei grandi teatri d’Europa.