È un film che ci porta dentro la vita, la storia, le battaglie, la necessità politica di fare arte di una delle più grandi coreografe del nostro tempo, Maguy Marin – L’Urgence d’Agir di David Mambouch (Naia Productions, 2019, Prix de la Critique come miglior film di danza del 2019), un affondo potente nelle ragioni del fare danza, dell’essere in scena, di relazionarsi con le nuove generazioni. Ne ho parlato in parte ieri da il manifesto nell’intervista a Maguy Marin in occasione della ripresa all’Arena Shakespeare per la Fondazione Teatro Due di Parma del suo magnetico, ancora oggi incredibilmente incisivo May B (1981), e della proiezione del film, sempre a Parma, presente la coreografa. Ma ho ancora tante cose da dire sul film e quindi ci torno sul mio blog, anche in vista dell’ultima proiezione italiana stasera alle 21 al DAMSLab Dipartimento delle Arti di Bologna (Piazzetta P. P. Pasolini, 5/b – ingresso gratuito), evento organizzato dal webdancemagazine Blaubart insieme a una bella quattro giorni bolognese dedicata a Maguy. Intorno al film stasera, talk con Maguy Marin, David Mambouch, coordina il collega di Danza&Danza, Carmelo Zapparrata.
May B, ispirato all’opera di Samuel Beckett,è la creazione che fa da sfondo battente al film, una creazione guardata, vissuta, fatta parte di sé dal regista fin dall’infanzia: David Mambouch, formazione d’attore unita all’amore per la telecamera, figlio di Maguy Marin. Togliersi il timore che in L’Urgence d’Agir lo sguardo di un figlio su una storia nella quale la figura della propria madre è centrale sia penalizzante: tutt’altro. La sceneggiatura ha una struttura potente nella quale, attraverso le quasi due ore di film, respira il rapporto imprescindibile tra la vita, vista da una prospettiva interna particolare della compagnia di Maguy, e la realtà sociale e politica del contesto in cui che noi tutti, volenti o nolenti, viviamo.
Mambouch racconta attraverso il filtro di May B quarant’anni di storia e anche di più. In trentotto anni di vita, May B ha continuato a andare in scena: dieci interpreti, alcuni rimasti molto a lungo, altri sostituiti nel tempo, che ci raccontano la difficoltà del vivere, la necessità di combattere, la danza come un’arte che appartiene a tutti. Con i loro volti cosparsi di argilla, le loro posture distorte, gli occhi scavati affidano alla scena dal 1981 la potenzialità che ha il corpo, qualunque esso sia, di essere una voce individuale e collettiva.
Maguy Marin: «avrei potuto fare la ballerina classica tutta la vita in una grande compagnia, ma per fortuna Maurice Béjart mi ha aiutato a osare, a essere curiosa, a proporre il mio lavoro. Quello che mi toccava era il fatto che vedevo la danza in persone con corpi di ogni tipo, penso alle tante donne, anche grosse, che avevo visto ballare il flamenco, a certi bambini, agli anziani, a danzatori africani. In May B avevo l’urgenza di non lavorare sulla danza secondo l’ideale occidentale, bianco, di perfezione. La creazione si ispira alle opere di Samuel Beckett e il suo modo di parlare dell’umanità, della finitezza, del nostro essere effimeri, delle difficoltà del vivere, di muoversi mi permise di lavorare sulla danza in un modo diverso».
Nel film di Mambouch i volti di May B tornano di continuo, ripresi in primo piano, una testimonianza nel tempo, lo sguardo sugli anni che passano, nostri e del mondo. I loro passi strascicati, le loro risate, le loro corse, si intrecciano a tante immagini di repertorio della compagnia di Maguy Marin, ai racconti, anche di famiglia, in prima persona della coreografa e degli interpreti, ma anche alle immagini di scioperi, battaglie sociali, alle voci dei politici da Mitterrand a Sarkozy e Macron e a progetti pedagogici importanti come quello sostenuto da Lia Rodrigues (che partecipò al primo May B nel 1981) in Brasile al quale Marin ha la dato la possibilità di rimontare là May B.
Ultima, importante, nota alla qualità delle riprese: ottimamente giocate tra prove e spettacolo, primi piani e figure intere, per un montaggio mai estetizzante, ma necessario, urgente insomma, in linea con il titolo del film. Da vedere.
photo courtesy L’Urgence d’Agir. Credits: dall’alto (foto 1, 2, 3) Laurence Daniere, (foto 3, 5) Didier Grappe